Questo libbro nasce da una illuminata idea che mi ha fulminato sulla strada per la cucina. Avevo idea, infatti, di scrivere una serie di racconti con insegnamento morale che poi andavano collegati tra loro da saggi filosofici.
Ma qui, l'illuminazione divina... mi appare un vecchio. è Dio? No, è il Don Chisciotte. Cervantes è uno scrittore del 600 e non ha assolutamente a vedere con quelli dei nostri tempi: nel suo Chisciotte scriveva alcuni capitoli sul cavaliere che poi venivano bruscamente interrotti da storie che non c'entrano assolutamente NIENTE, come quella della pastora Marcela, oppure il prigioniero che scappa con la principessa araba ma cristianissima...
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- lo sapevate, vero? non si può vivere senza aver letto il Don Chisciotte, sareste praticamente degli zombie!
TOTO CAELO ERRARE! Cervantes non ha considerato un'altra cosa, cioé accontentare i suoi sostenitori... AGGIUNGENDO ancor più racconti! In questo modo, infatti, il don chisciotte sarebbe diventata la cornice, e le altre vicende i racconti: visto in quest'ottica, sarebbe stato un capolavoro.
ED ECCO l'ILLUMINAZIONE! Scrivere i saggi filosofici era noioso, poco vivo... e che mi invento? Faccio una cornice con 3 nobili che, passeggiando per andare all'opéra, sentono delle storie e le commentano: di fatto, i dialoghi tra i tre SONO i saggi filosofici, ma è molto più vivo e divertente.
Ecco finita l'introduzione, spero di non avervi annoiato, ma se l'ho fatto, consideratela una punzione divina per tutte le vostre malefatte. Questi miei testi sono ancora alla prima stesura, e come tali saranno pieni di errori, quindi vi prego di segnalarmeli tutti.
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- CAPITOLO UNO
Il riflesso fissava il Conte Restotto mentre si preparava per la sua discesa in società. Era un uomo alto e magro come una freccia; il volto ovale perfettamente glabro era contornato da meravigliosi capelli ramati che come due impetuose cascate ricadevano sulle spalle per poi adagiarsi placidi sul torace ampio. Il Conte mosse i piccoli occhi azzurri dal suo riflesso al guardaroba in cerca dei vestiti migliori per l’occasione: dava sempre molta importanza alla scelta degli abiti poiché, come ogni gentiluomo sa, un uomo non può decidere con quale volto nascere ma può benissimo stabilire come apparire.
Dopo le usuali raccomandazioni al suo intendente, uscì e tutti i passanti si girarono ad ammirarlo: aveva scelto dei pantaloni in stile americano color mattone irreprensibili al taglio, redingote vinaccia lasciata aperta e panciotto in lana nera a righe dorate, all’interno del quale s’inabissavano la camicia di lino finissimo e la cravatta bianca sapientemente chiusa con un nodo postale. La mano destra era inguantata di nero, la sinistra nuda ornata solo da un rubino al mignolo; i piedi coperti da calze color caffè e opulente scarpe di pelle; in testa, l’immancabile cilindro di castoro ornato da una striscia di stoffa bianca che brillava tra i colori scuri come una stella nel cielo notturno.
Compiaciuto dagli sguardi, scese i pochi scalini d’ingresso pressando nel mezzo il suo raffinatissimo bastone da passeggio, il cui pomello era istoriato come il leggendario scudo di Achille; quindi s’incamminò verso la sua meta.
Arrivato a casa dell’amico, Restotto trovò il Barone Manfredi di Collefalco seduto sul divano intento a leggere un grosso libro. Se il Barone avesse accettato la presenza di un maggiordomo, il Conte si sarebbe risparmiato l’imbarazzo del disturbo, ma il padrone di casa era un uomo fattosi da sé, e riteneva che i lavori meglio eseguiti fossero quelli fatti in prima persona: aveva ottenuto il titolo tramite una lettera patente per aver difeso strenuamente un ponte durante la guerra, e per questo gli altri nobili lo guardavano con una vena di malignità, ma Restotto riteneva che fosse più nobile lui di molte altre genti così povere da non avere altro che il titolo.
Per non distrarre ulteriormente l’amico, il Conte si sedette su una larga poltrona attendendo la fine della lettura.
Era una casa semplice, con un soffitto alto e delle altrettanto alte vetrate che facevano entrare abbastanza luce da risparmiarsi le candele per la maggior parte del giorno. A terra era disteso un gran tappeto di ottima manifattura raffigurante scene di caccia, tondo che lasciava sporgere il ciliegio del raffinato parquet ai lati; alle pareti nessun quadro ma quattro splendidi arazzi raffiguranti le avventure del Don Chisciotte. Questi manufatti, che costituivano l’unica pennellata di sfacciata opulenza nella stanza, erano sempre stati molto apprezzati dal Conte; si chiedeva dove se li fosse procurati il Barone, anche se questi si limitava a dire che gli erano stati regalati, e alle insistenze rispondeva “Se io ora vi dessi un lingotto d’oro, non v’importerebbe certo da quale miniera fu estratto!”. Tutto il restante arredamento era costituito da uno scrittoio, camino e un tavolo basso rettangolare, che divideva il divano da due poltrone.
Collefalco era più vecchio del Conte di almeno vent’anni. Sotto il naso adunco aveva dei lunghi baffi spioventi che lo distinguevano dagli altri nobili, pizzetto appuntito e impomatato, capelli bianchi tagliati corti e lisciati all’indietro con tale cura che neanche Eolo stesso sarebbe riuscito ad arruffare. Indossava una marsina di lino nera con bottoni d’oro lasciata aperta per mostrare il meraviglioso gilet grigio scuro su cui erano magistralmente raffigurati Achille ed Ettore nell’atto di fronteggiarsi; poi camicia di seta bianca e cravatta grigio chiaro inamidata e annodata a Trono d’Amore; la parte inferiore del corpo era invece caratterizzata da calzoni alla tirolese dello stesso colore della cravatta così attillati sulle cosce da non riuscire a nascondere il fisico ancora marmoreo, calze bianche ed eleganti scarpe rigorosamente a punta quadra, anch’esse grigie. Il monocromatico aspetto, il profilo possente, le spalle robuste e l’austerità di ogni sua posa ricordavano i duri tratti delle sculture epiche, come un’armatura templare scagliata contro il tramonto e il mantello che garrisce energico nel vento.
Finito di leggere, il Barone chiuse con una mano sola il libro e si rivolse al suo ospite:
“Signor Conte, vi prego di scusarmi se vi ho fatto attendere, ma credo che voi sappiate quanto sia sacro per me il momento della lettura.”
“Non preoccupatevi: ampliare le proprie conoscenze è uno dei principali modi con cui glorificare la Vita, e i libri ne sono il mezzo; gli ospiti potranno sicuramente attendere qualche istante”
“In verità, questo libro è più atto a divertire che a insegnare; ma, in fondo, nella vita si ha bisogno anche di questo: un arco sempre teso finisce per non tirare più frecce.”
“Non posso che essere totalmente d’accordo con voi, Barone: molti buoni testi vengono rovinati quando l’autore tenta di forzare nella trama un messaggio di cui magari non ci si accorgerà mai. Piuttosto, cosa stavate leggendo oggi?”
“è un libro nuovo, s’intitola “Il Conte di Montecristo”. Un ottimo testo, senza dubbio, ma ho come l’impressione che dovrà aspettare alcuni anni prima di raggiungere la fama che merita; in alcuni paesi, probabilmente, ne passeranno almeno centocinquanta prima che si inizi a guardarlo con serietà.”
Il Conte si sistemò sulla sedia e incrociò le gambe “Beh, sapete come si dice: i libri moderni hanno tutti lo stesso difetto, cioè non hanno avuto il tempo di diventare vecchi. Guardate ad esempio questi vostri arazzi del Don Chisciotte: sono ben pochi i libri che possono vantare cotanta fama, eppure la sua forma è tutt’altro che perfetta.”
“è però oltremodo innegabile che ci sono cose molto più importanti dello stile in un buon libro; ma non voglio tediarvi ulteriormente con le mie critiche letterarie, ditemi anzi qual buon vento vi porta qui.”
“Questa sera daranno il Guglielmo Tell all’Opéra e mi chiedevo se vi facesse piacere assisterci in mia compagnia.”
Il Barone lisciò i lunghi baffi “Beh, dopo lo svago della lettura popolare, forse sarebbe meglio concedersi anche un po’ di vera cultura, e quale posto migliore dell’Opéra? Credo proprio che verrò con voi, e giacché è ancora primo pomeriggio, potremmo pranzare in una locanda di mia conoscenza.”
“Non chiedo di meglio.” Assicurò il Conte.
“A proposito di Don Chisciotte e osterie varie, in questa locanda che frequento spesso, lavora un oste che racconta molte storie ai suoi clienti, soprattutto a me poiché, modestamente, sono uno dei pochi in grado di capirle a fondo; l’ultima volta che lo vidi mi raccontò una novella che credo vi piacerebbe molto sentire…”
“Vi prego, non attendete oltre e raccontatemi di queste vicende: anch’io necessito della mia quotidiana dose di cultura.”
“Allora, senza ulteriore indugio, recitiamo questo racconto.” Il Barone si alzò mostrando tutta la sua imponente stazza e iniziò a narrare.
DIBATTITO TRA DON BROCABRUNO E IL CAVALIER RAZIOCINANTE
N.B.: questo capitolo è la ricostruzione di un dialogo realmente avvenuto tra un liberale e un fanatico religioso, per quanto possa sembrare assurdo. I nomi sono stati cambiati per mantenere l’anonimato, ma i dialoghi hanno subito solo piccole modifiche che lasciano inalterato il senso originale; prego quindi che i lettori possano perdonarmi qualche inevitabile imprecisione nella forma dovuta alla struttura delle frasi originariamnete pronunciate.
Viveva, or non è molto, in un paese d'Italia di cui non voglio ricordare il nome, il cavalier Raziocinante, uomo integerrimo e gran pensatore. Questo cavaliere, nato in una famiglia di cristiani integralisti, raggiunta l’età del raziocinio, creò un credo personale modellato sulla sua morale e sulla Ragione; ciò nonostante, Raziocinante trovava spesso diletto nel parlamentare con un religioso suo vicino, tale Don Brocabruno, gran personalità dall'ineluttabile fede, il quale però non aveva mai messo in dubbio la cristianità del suo amico. Una domenica, poco prima della ricorrente funzione, quando la piazza era particolarmente affollata, Brocabruno incontrò Raziocinante davanti alla chiesa, e poiché stava andando a recitare la messa, gli chiese se avrebbe avuto l'onore di vederlo tra i suoi fedeli.
“Guardate” gli rispose Raziocinante “parliamoci con onestà: cristiano non sono, e se vi chiesi l’onore di potervi contare nel numero dei miei amici fu solo per avere un confronto d’idee, nonché conoscere adeguatamente ogni sfaccettatura del vostro orientamento religioso prima di trarre le mie conclusioni. Se mi accetterete comunque come amico, ne sarò felice, altrimenti possiamo pure interrompere qui le nostre conversazioni.”
“Io non vi biasimo, vedremo” Ribatté Don Brocabruno, dimostrandosi sagace e comprensivo. “Non vi conosco ancora bene, vi metterò alla prova e pregherò per voi. Se venite da Dio, siete mio fratello e sarete benedetto; se invece servite Satana farete la fine di Satana. Io voglio credere che siete dei nostri, prego per voi, per la vostra famiglia e i vostri amici.”
Raziocinante fu molto contento della reazione del fedele amico, ma ciò che più d’ogni altra cosa gli cagionò il maggior giubilo fu la possibilità di poter continuare a confrontare le sue idee con quelle di altri e verificare l’esattezza della sua morale.
Discutendo, Raziocinante si sovvenne di un suo amico, tale Lotazio, eminente filosofo del paese con cui stava parlando poco prima dell’arrivo di Brocabruno. Il cavaliere, infatti, alcuni giorni prima era venuto a conoscenza di alcuni dubbi spirituali del giovane filosofo, il quale ormai passava le giornate a tormentarsi sulla relativa giustizia della morale cristiana, morale che stava ormai abbandonando; Raziocinante gli consigliò quindi di rivolgersi al curato loro amico comune. Durante il loro ultimo confronto, Lotazio raccontò al cavaliere di come gli fosse stato utile discorrere con Brocabruno, “prete illuminato che gli aveva aperto le strade verso la grazia del vero Dio”. Raziocinante decise quindi di chiedere al pastore che idea si fosse fatto del suo giovane amico dopo il loro confronto.
“è un ragazzo e ha tanto da imparare; ma sappiate che vi tengo d'occhio!” Tuonò Brocabruno “Se sgarrate vi tolgo il saluto, che non ho tempo da perdere con chi è contro la verità.”
Il cavaliere scosse la testa confuso da questa risposta non capendo come mai Brocabruno, che prima sembrava mite e rilassato, prendesse a minacciarlo in così violenta maniera; Raziocinante non comprendeva, inoltre, in che modo avrebbe potuto errare nei confronti del curato e decise quindi di chiedere delucidazioni in merito:
“Non capisco cosa intendiate per sgarrare, né quale sia la vostra verità: se non la conosco, non so quando vi vado contro e quando no.”
“Sgarrare nel senso che se siete un falso, un infiltrato, un finto cristiano; e vi dico anche che, se siete un lupo vestito da pecora, avrete una brutta avventura con un montone! Ho molti nemici, e spesso 'sti antagonisti vigliacchi e infami fanno buon viso a cattivo gioco solo per rompermi il deretano. Scusate il francesismo, so bene che utilizzare termini stranieri come quello che ho adoperato io non è bon ton e possono causare misunderstanding.”
“Più che un francesismo, mi sembra un termine volgare.”
“No, solo gli st****i usano termini volgari, e vedete bene che io non lo sono.” Spiegò Brocabruno effettivamente con ragione “Anzi, se proprio devo essere coerente, posso dirvi che anche quel santo scrittore noto al volgo ignorante come Dante scriveva spesso in volgare. Non mi preoccupo se voi non capite quello che dico, poiché noi clericali abbiamo una cultura ineguagliabile, la sola cosa importante agli occhi di Dio è che voi non siate un finto cristiano, ma bensì un fervente credente come me.”
Raziocinante fu ancora più confuso da questa dichiarazione: <mi pare di parlare con un ubriaco!> pensò. Avevano iniziato la discussione con la confessione della non-cristianità del cavaliere, ed ora Brocabruno se ne usciva con un’affermazione simile?!
“Un finto cristiano? Vi avevo già detto, mi pare, che cristiano non sono, né sono contro i cristiani. Se permettete, vi spiegherò la mia idea.”
“Già che non siete cristiano vi fa perdere punti. Gli unici veramente contro i complotti massonici sono solo i cristiani, mentre la massa di trogloditi atei e seguaci delle sette, nonché i cristiani idioti che non seguono i precetti divini in modo letterale come faccio io, adorano tutti il diavolo e l'anticristo. Scegliete: o Dio e Gesù, o Satana.”
Sentendo il curato esprimersi in tale modo, quasi urlando, la gente s’incuriosì e attorno ai due colloquianti s’era ormai formata una piccola folla. Raziocinante decise di esporre la sua ideologia, poiché appariva impossibile discutere ulteriormente fintanto che Brocabruno l’avesse ignorata, ma iniziò solo dopo aver chiesto di non essere interrotto poiché si trattava di un discorso lungo e complesso.
“Sono nato e cresciuto in una famiglia cristiana, ho frequentato il catechismo, ho sempre seguito e conosciuto la morale e gli insegnamenti cattolici.
Col tempo, però, ho iniziato ad avere le mie idee e a non aver paura di usare il mio intelletto; iniziai quindi a sviluppare la mia morale e ben presto mi resi conto che questa era contraria ai precetti cristiani che mi avevano insegnato. E la mia morale ha prevalso. Vedete, questa mia ideologia è contraria a quella del Dio cristiano in molti punti, ma io sono tollerante e ascolto le idee di tutti. C'è, però, una cosa che proprio non accetto, ed è quello che avete detto voi: "O Satana o Dio, scegliete". Per me questo è assolutamente inammissibile, non accetterò mai l’esistenza di un male e un bene assoluti che tutti devono riconoscere.”
Il volto di Don Brocabruno si faceva sempre più sanguigno man mano che Raziocinante esponeva il suo discorso, volto mosso da spasmi d’ira che facevano tendere i muscoli e la pelle del collo portando le vene alla vista. Il cavaliere s’accorse delle emozioni del curato e tacque stupito per un attimo, ma poi riprese:
“Sono totalmente sicuro del fatto che né giusto né sbagliato trovino posto a questo mondo, e ora lo dimostreremo: ognuno di noi ha le sue idee e sono tutte ugualmente degne, anche quella che così con sia; ogni pensiero vale come tutti gli altri, perché ogni uomo ha lo stesso valore; tutto questo ci porta quindi alla conclusione logica che né male né bene esistono, e il cerchio si chiude.
L'idea di un essere totalmente malvagio che vuol portare la gente dalla sua parte equivale a togliere la libertà di pensare liberamente. Ammettiamo che io ritenga che uccidere sia giusto: se cercassi d’imporvi questa mia filosofia, sarebbe ingiusto, non è vero? Allo stesso modo, Dio ritiene che uccidere sia sbagliato, ma non ha il diritto ordinare agli uomini di pensarla allo stesso suo modo, così come non l’ho io, non perché io sia al pari di Dio, ma perché l'imposizione è un’ingiustizia, sempre, anche se viene dal Signore. Volendo possiamo anche ipotizzare che davvero Dio ci impone le sue idee; ebbene, anche fosse questa la realtà, preferisco mantenere l'illusione di poter pensare liberamente anziché accettare dogmi e idee di altri.”
Il curato fu particolarmente risentito da queste affermazioni e stava per prendere la parola, ma Raziocinante lo interruppe e continuò la sua voluminosa arringa, poiché spiegò che doveva specificare una questione assolutamente indispensabile per la perfetta comprensione del suo pensiero:
“Sì, io credo in un essere superiore; ho fatto della mia morale la mia religione, e credo in una divinità generale: è un Dio grigio, nel senso che da esso viene tutto, e nulla è totalmente bianco o totalmente nero, non vi è né bene né male; di conseguenza, non ci sono regole, non esiste premio dopo la morte, né punizione, ma una situazione uguale per tutti.
Io stesso non credo al mio Dio come assolutamente vero, ma penso solo che, se un Dio esiste, allora dovrebbe essere come lo dipingo. Mi sembra già di sentire le vostre critiche, Brocabruno: dite che mi pongo sopra Dio, che gli dico io come agire. No, non sto dicendo al Dio come dovrebbe comportarsi, dico solo che nessuno deve avere l’odiosa presunzione di conoscere il suo vero pensiero. Allo stesso modo, io non escludo la possibilità che il vostro Dio cristiano sia, effettivamente, quello vero; se così fosse, io finirò all'inferno: lo accetterò, e dirò alla divinità che per me la giustizia era un'altra, e sono ben contento di aver inseguito i miei ideali.”
Brocabruno ringraziò il Signore con un’intensità che mai aveva mostrato prima, neanche durante la preghiera più fervente, poiché finalmente Raziocinante aveva finito il suo logorroico discorso e ora gli era concessa la possibilità di rispondere.
“Giacché la pensate così, che non esiste né bene né male, se finirete, un giorno, in galera, e tre energumeni vi violeranno, voi direte che quella è malvagità; ma se essi la penseranno come voi, vi diranno che è solo un punto di vista. Ci sono cose che oggettivamente sono o nere, o bianche, e negare questo significa negare la realtà.
"Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente". Voi, mio “ex-amico”, questo assioma non lo conoscete, poiché fu l'elevato Bertolt Brecht ad enunciarlo. Detto questo, vi avviso che vi toglierò il saluto; in tutta sincerità, mi sono stancato di gente ambigua che ha il piede in due staffe: o Dio o mammona, non si possono servire due padroni come Arlecchino.”
“Vedete, Brocabruno” si spiegò ancora Raziocinante “credere che non esistano bene e male non vuol dire assolutamente fare quello che ci pare, bensì vuol dire solo essere tolleranti. Certo, io ho le mie idee su cosa è positivo e su cosa è negativo, ma, allo stesso tempo, tollero il fatto che altri vedano un muro rosso dove io ne vedo uno verde.
Quello che vorrei realizzare è un mondo in cui tutti possano esprimere liberamente le loro idee, senza sottomettersi subito a quelle degli altri e senza ostinarsi a sostenere oltre tempo le proprie. Capisco anche che c'è gente che non vuole vedere questo: sia atei che fanatici religiosi vogliono impedirlo, ma le loro idee sono sullo stesso piano delle mie; ognuno deve analizzare il pensiero di tutti e giungere alle conclusioni che suggerisce la propria morale.”
Brocabruno mostrava sempre di più l’ira che gli cresceva nell’animo, sentimento forse non cristiano, ma cui lo stesso Cristo cedette, secondo alcuni, durante l’episodio della scacciata mercanti dal tempio, e che quindi si può certamente perdonare a un semplice prete. Siccome quest’ultimo si limitava a tremare per la rabbia senza proferir parola, Raziocinante continuò la spiegazione della sua ideologia:
“Nonostante tutto, ogni uomo continua ad inseguire la conoscenza di bene e male, cosa equivalente ad andare a caccia di basilischi. Bene e male assieme costituiscono quella che la gente chiama “Verità”, “Realtà”, il solo mondo esistente. I cristiani asseriscono "la verità vi renderà liberi", e per me questa è un’immensa menzogna: La verità è una terribile gabbia!
Siamo davvero sicuri che inseguire la verità sia la cosa giusta? Io ne dubito, credo che questa “verità unica” sia degna dell’esecrazione. Guardate il male, quello che entrambi consideriamo tale, come i governanti corrotti, la criminalità, le dittature... Qualcuno, fin'ora, è forse riuscito a fermarlo? No, il male è molto più potente del singolo, così funzionano le cose nel mondo. Pertanto, secondo voi, dovrei accettare che questa sia la realtà, rinunciando di conseguenza a combattere? No, questa che ci viene venduta come verità generale va ignorata: se essa si mette contro la nostra morale e i nostri ideali, o ancor peggio contro la nostra felicità, che è l'unico fine della nostra vita, allora va distrutta, facendo prevalere noi stessi ed il nostro sogno. Voi la chiamerete menzogna, io la chiamo “la mia verità”, diversa da quella di qualsiasi altro.”
“Voi odiate la verità? Io odio la menzogna!” Il piede di Don Brocabruno urtò con forza il suolo in uno sfogo d’ira, schioccando con un suono così acuto che spaventò alcuni degli spettatori, i quali intanto non sapevano con chi schierarsi assistendo ad un così serrato e ragionevole dibattito.
Rispose Raziocinante: “Posso dirvi che neanche io amo certamente la menzogna. Tra bugia e verità fini a se stesse. sceglierei comunque la verità, questo ve lo assicuro, ma tra verità e felicità, scelgo quest’ultima, anche se comporta la falsità.”
Il prete, purtroppo, non poteva capire tutto il raziocinio utilizzato dall’eminente cavaliere: se effettivamente esistono dei punti della nostra morale che possiamo cambiare tramite il confronto, ne esistono comunque anche altri immutabili, frutto delle ineluttabili leggi fisiche che dominano il giardino segreto che ognuno ospita nell’animo. Brocabruno aveva invero passato la serata precedente a elucubrare proprio su questo argomento ed aveva scritto alcune frasi da pronunciare durante la messa, ma le sue idee erano ben diverse da quelle del cavaliere.
“Ascoltatemi e meditate mentre leggo questa elevata citazione che mi sono trascritto in vista della predica che dovrò enunciare stamane.” E dopo aver preso un foglio dalla sua borsa, lesse:
“Vangelo di Giovanni 8:42; Disse loro Gesù: “Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio.”.
L’accorto Raziocinante comprese molto bene le parole di Brocabruno: il curato lo stava accusando di essere un demonio poiché credeva all’esistenza di più verità in base all’occhio di chi guarda. L’elevato cavaliere riteneva questa visione troppo intollerante, ma, come si addirebbe a un buon cristiano, non cedette all’ira e anzi aveva già preparato una fervente risposta che espresse senza la minima ombra di prosopopea:
“Mi volete dire che tra una verità che scatena la guerra e una menzogna che porta la pace, scegliereste la guerra? Questo non è certo un pensiero cristiano, e chissà quante volte avrete ripetuto “vi do la mia pace”. Io credo solo che la vita limitata esista solo per dare significato alla vita illimitata, e sicché non esiste altro scopo metafisico, sono or dunque gli uomini a dovergli dare un senso: ognuno sceglie il suo scopo, e per me il più sensato è semplicemente quello di inseguire la propria felicità ad ogni costo. Quindi, tra una mesta verità e una raggiante bugia, prediligo quest’ultima, se mi fa felice.”
“Siamo in antitesi completa.” Asserì Don Brocabruno amareggiato, capendo che ormai non aveva più modo di far cambiare idea al suo avversario. “Io scelgo la verità scomoda, voi tenetevi pure le vostre rassicuranti bugie. Quello che è nero io lo chiamo nero, quello che è bianco io lo chiamo bianco, ma guai a chi chiama male il bene e bene il male. Su certe cose sono intollerante: la menzogna e il male non li tollero né ora, né mai. Voi avete una posizione relativista, e scusatemi se ve lo dico, ipocrita, poiché a causa della vostra scarsa cultura non comprendete la giustizia e la spiritualità, nonché i veri valori della vita.”
Raziocinante con molta calma attese la fine dell’orazione. Nonostante ne fosse un po’ risentito a causa della presunzione ostentata da Don Brocabruno, riuscì a richiamare a sé la calma per poi esporre quella che, a suo dire, sarebbe stata sicuramente la risposta che avrebbe chiuso il dibattito:
“Un ipocrita è una persona che ostenta buoni propositi per cattivi fini, e io non ho alcun fine.” Spiegò all’arrogante curato, il quale parve non gradire la ragionata correzione; quindi il cavaliere continuò: “Il fulcro è questo: per voi il bianco è bianco, per me invece esistono solo punti di vista, io posso vederlo bianco e altri possono vederlo nero. Se fosse come dite voi, allora tutti dovrebbero avere la stessa opinione, ma così non è, e vede bene che neanche la platea qui giunta si è mai sbilanciata in mio o in vostro favore.
Ci tengo inoltre a dire che, non so quale sia il vostro stato, ma io sono molto contento di questa discussione: solo confrontando idee diverse si può andare avanti; cercando di imporre dogmi, oppure rimanendo troppo ostinati in una posizione nonostante quello che ci comunica l'analisi, ci si ferma.”
CAPITOLO DUE
Come il Barone ebbe finito di parlare, la porta dei suoi appartamenti s’aprì di schianto.
“Ma signore, continuate a non chiudere a chiave? Voi non sapete che gente c’è in giro al giorno d’oggi!”
A parlare era stato il Marchese Amos di Montegrifone, con tutto il suo imponente fisico. E, in effetti, il Barone aveva il difetto di non chiudere mai le porte a chiave.
Restotto si alzò riconoscendo la voce dell’amico: “Signor Marchese, ma quale piacevole sorpresa!”.
“Oh, Conte, ci siete anche voi.” Amos di Montegrifone ricambiò il saluto con uno sguardo.
“Dovete scusare me per la porta: quando sono entrato per far visita al Barone ho obliato di richiudere.” In realtà anche il Conte aveva trovato aperto, ma ormai aveva capito che Collefalco non sarebbe mai cambiato su questo punto e non voleva ritirare in ballo la questione.
Anche il Barone si alzò a salutarlo: “Signore, se volevate ascoltare un’altra volta la storia del dibattito tra Raziocinante e Brocabruno, arrivate tardi, poiché ho appena finito di raccontarla al nostro amico Conte.”
Il Marchese non ne parve contento “Bah, ho già ascoltato quell’empia e blasfema storia una volta di troppo, e vi ricordo che me l’avete narrata una sola volta.”
Pareva, infatti, che Montegrifone fosse un uomo estremamente religioso, ma chi lo conosceva bene aveva parecchi dubbi in merito: si vociferava che fosse in primo banco a ogni messa solo per mostrare al prete quante volte riusciva a sbadigliare in dieci minuti, e se c’era da fare la carità si accontentava di gettare con noia qualche moneta di bronzo. Anche il suo aspetto non si adattava certo all’immagine stereotipata del credente caritatevole, moderato e spiritualista: indossava un magnifico gilet con fantasia a manto di giraffa, redingote più corta dal normale color “Diavolo Zoppo” con bottoni in oro, mani senza guanti ma con indici e medi inanellati un paio di volte l’uno, calze bianche, pantaloni tirolesi in pura seta beige e scarpe dello stesso materiale con tacco rosso, come si usava nel diciassettesimo secolo per distinguere i nobili dalla gente comune; i numerosi menti denotavano grandi doti culinarie ed erano perfettamente visibili poiché alla cravatta era stata preferita una semplice collana con un pendaglio a croce; bastone da passeggio interamente in oro e tuba color vinaccia completavano la sua eccentrica figura.
Chiese il Conte: “Ma Barone, volete dirmi che la storia è conclusa così?”
“Sì, non si sa cosa rispose Brocabruno, una ragione in più per andare a sentire il resto dal mio amico oste. Comunque, ditemi, che ne pensate di questa prima parte?”
“è sicuramente un racconto terribilmente tragico, la fine di un’amicizia per futili motivi, e non si può fare a meno di dare un po’ della colpa a Raziocinante per non aver chiarito subito la sua morale con Brocabruno.”
“Ben detto, Conte! La sincerità è la base di ogni rapporto tra bravi cristiani.” Il Marchese era contento di sentire la sua idea confermata.
“Ciò nonostante” continuò Restotto “è innegabile che il cavaliere abbia molta ragione quando dice che ognuno deve essere libero di pensare senza sottomettersi a dogmi e a idee di altri.”
“Ma cosa mi tocca sentire da voi!” Questa volta il tono del Marchese era decisamente diverso di prima “Volete forse insinuare che non sia necessario seguire i comandamenti di Dio Padre?”
“Gli umani obbediscono al loro Creatore così come un figlio obbedisce al padre. Ma i figli crescono, e quando diventano capaci di prendere decisioni sensate con la propria testa, devono andare avanti da soli cosicché gli ordini paterni diventano semplici consigli.”
“Forse su questo avete ragione, Conte, ma fidatevi che l’umanità, per ora, è poco più che un infante, e ne dovrà passare d’acqua sotto i ponti prima che si possa permettere di ragionare senza una qualsiasi guida!”
Anche Collefalco s’aggiunse: “E non bisogna dimenticare che, per quanto possa essere ragionevole un essere umano, rimane sempre fallibile, al contrario di Dio. Non è forse vero, Marchese?”
“Accidenti a voi, Barone! So bene che quelle non sono vostre parole, e ora le riusate contro di me! Comunque sì, gli umani sono fallibili, ma non venitemi a dire che possono errare anche nel volersi affidare alle Sacre Scritture, poiché è come se fossero dettate dal Signore stesso.”
Il Conte non riteneva utile proseguire ulteriormente su quell’argomento: che ognuno si tenga le proprie idee, non serve incrinare dei buoni rapporti come hanno fatto Raziocinante e Don Brocabruno. Anche il Barone lasciò stare Montegrifone, e quindi pose una nuova domanda a Restotto: “Che mi dite, invece, dell’idea che la verità vada ignorata?”
Il Conte riflesse un attimo sulla difficile questione: “Questa è una situazione più complessa. Ritengo comunque che sia necessario dividere tra due tipi di verità: quella che riguarda la generalità delle cose, e quella concernente il destino delle persone.”
“Spiegatevi meglio, di grazia” Chiese il Marchese.
“Intendo dire che, per esempio, non si può mentire a un processo e condannare a morte un uomo solo per ottenere un proprio vantaggio, e allo stesso modo non si può mentire salvando un criminale che merita di essere punito; ma, di contro, non c’è assolutamente nulla di male nel vedere giganti al posto di mulini a vento se questo non danneggia né avvantaggia alcuno” E lanciò un’occhiata agli arazzi.
Il Barone, che intanto era tornato a sedersi, appoggiò i gomiti sul tavolo e congiunse le mani: “Conte, ritengo che la vostra visione della questione sia quanto mai ammirevole; ciò nonostante, credo che non si possa fuggire dalla realtà all’infinito: i problemi trascurati uccidono.”
“Barone, guardate ancora questi meravigliosi ornamenti che avete alle pareti” Restotto ci passeggiò vicino “Alla fine è la realtà che uccide il Don Chisciotte, non la fantasia; e in ogni caso, sarebbe comunque stata più degna una morte felice nel proprio autismo ché una triste esistenza nel mondo reale.”
Collefalco non si trovò d’accordo, ma non replicò: come lui stesso aveva detto recitando il racconto, ci sono parti di un’ideologia che vanno bene solo per la mente che le ha generate. Anche Montegrifone era parecchio incuriosito dalla visione del Conte: “Si dice “La verità vi renderà liberi”, è vero, ma non ho mai riflettuto a proposito del tipo di verità a cui ci si riferisce. Noi stessi nobili siamo costretti ad apparire in un determinato modo in società, ma dovremo pur avere il diritto di vestire come più ci piace nella sacralità di casa nostra!”
Il Barone era particolarmente divertito da questa ultima frase: “Uno dei motivi per cui non voglio servitù in casa.” Ridacchio, e poi si girò verso il Conte: “Un’ultima domanda: che mi dite a proposito dell’inesistenza di bene e male?”
“Questo è in assoluto il punto su cui ci sarebbe più da discutere, vista la sua complessità e astrattezza. Mi limiterò a dire, comunque, che io la vedo in modo leggermente diverso: bene e male cambiano con il tempo.”
“Esattamente. È la stessa cosa che ho pensato la prima volta che mi fu raccontata la novella.” Disse Collefalco.
“Ad esempio” proseguì il Conte “Fino a qualche secolo fa, era considerato bene bruciare le donne sospettate di stregoneria, mentre oggi prendiamo per pazzo chiunque dica di aver visto una qualche giovane fare incantesimi; tempo fa era considerato male perdere tempo con letteratura d’intrattenimento, oggi leggiamo solo raramente testi impegnativi.”
Il Marchese però richiedeva una precisazione: “Posso accettare questa visione solo se si considera la morale cristiana, e solo quella, come sempre valida e immutabile.”
Rispose lui il Conte: “Anzi, Marchese, permettetemi di correggermi: più che i tempi, è la maggioranza a decidere cosa è bene e cosa è male.”
“Che gran verità che avete detto!” Il Barone annuì lentamente un paio di volte, e anche il suo tono di voce, generalmente forte ma roco e monocorde, mostrava un po’ d’entusiasmo per la prima volta “Per rendersene conto basta viaggiare come feci io in gioventù: diverse culture, diverse religioni, diverse leggi… addirittura i giorni cambiano nomi, e tutto questo solo perché la popolazione ha abitudini diverse dalle nostre.”
E questa volta si ritrovò d’accordo anche il Barone “Devo ammettere che qualche ragione ce l’avete. Anche se è effettivamente indubbio che sia quello cristiano il vero Dio, in altri paesi ci sono maree di genti pronte ad affermare lo stesso delle loro divinità, e tutto questo solo perché la cristianità rappresenta una minoranza. Se in questo stesso paese ci fosse una maggioranza, che so, ortodossa, probabilmente pure io la penserei diversamente.”
<Non ne dubito>, pensò il Conte: ormai aveva capito che il Marchese di Montegrifone seguiva l’idea di Macchiavelli secondo cui un uomo influente doveva solo dare l’impressione di essere credente, per avere l’appoggio della gente da una parte e l’assenza di freni morali dall’altra. <Eppure non posso ritenere errato quest’approccio.>
Pareva che il Barone non avesse altre domande, e seguì un lungo di silenzio, silenzio che fu spezzato nuovamente dal Marchese col suo solito tono sopra le righe: “Ah, con tutti questi discorsi stavo dimenticando il motivo stesso per cui sono venuto qui! Barone, vi ricordate che, appena entrato, ho esordito dicendovi che non sapete che gente c’è in giro? Beh, guardate cos’ho trovato tra la mia posta.”
Il Marchese prese una lettera dalla tasca interna della redingote. Collefalco la guardò da lontano senza capire: “è una lettera come ce ne sono molte anche tra la mia posta. Cos’ha di strano?”
“Anzitutto, il destinatario non sono io, manca addirittura l’indirizzo; e in secondo luogo il suo contenuto è piuttosto… profondo, ecco.”
“Ora mi avete proprio incuriosito, Marchese” disse il Conte “Vi prego di leggere a voce alta quella lettera, se ciò non dispiace al Barone.”
“Che la legga pure, anch’io sono curioso, da perfetto umano.” confermò l’anziano nobile.
“Allora, a me le orecchie” E Montegrifone iniziò a leggere con una voce più alta del conveniente.
UNA CANDIDA LETTERA
All'attenzione dell'emerito ed eminente filosofo Pangloss.
Caro amico,
Il fiume del tempo scorre veemente cancellando ogni cosa sul suo percorso, ma neanche questo sconfinato potere può annebbiare il Vostro ricordo dalla mia memoria. Rammento ancor i giorni trascorsi alla corte del Signor Barone di Westfalia - che il Dio ce lo preservi - in cui godetti della vostra compagnia e dei vostri insegnamenti.
In quel roseo periodo appresi come nel mondo creato dal perfetto Architetto dell’Universo tutto andasse per il meglio. Ai miei occhi, contraddire siffatto santissimo precetto sarebbe stato ancor più esecrabile di un insulto rivolto all'Essere Supremo che ci governa, e ritenevo inoltre che, tra tutte le cose dette in morale, nulla fosse sì giusto e sì ammirevole.
Oggi, però, vi scrivo da un posto molto lontano da Voi sia fisicamente che temporalmente. Ho a lungo errato per questo mondo, e ho visto solo regni con sovrani ingiusti, uomini che ne sottomettono altri per interessi personali, posti dove il delitto la fa da padrone e ai giusti non è garantita neppure la dignità, ovunque ipocrisie nascoste da false morali. Angustiato nel vedere il vostro mai troppo lodato principio barcollare, ne parlamentai con un amico, il quale mi consigliò di consultare un saggio filosofo che viveva e spero viva tutt’ora in cima ad un monte di nome Laermo. Raggiunsi la montagna e ne iniziai la scalata, ma arrivato a un terzo del viaggio mi ritrovai di fronte a una parete scoscesa che non riuscivo in alcun modo a superare. Quando stavo per tornare a valle m’apparve un vecchio che mi disse "Sto scendendo or ora. Conosci te stesso: quella parete è troppo ripida per uno scalatore inesperto. Se prosegui verso ovest troverai una salita più dolce". Ascoltai i consigli del vegliardo e giunsi in prossimità della vetta, ma a dividermi dalla meta c'era un burrone troppo ampio per essere saltato. Stavo per tornare indietro quando si mostrò nuovamente quell'anziano e senz’indugio disse: "Sto scendendo or ora. Se vuoi raggiungere la cima non cercare scorciatoie; questo burrone è troppo ampio, ma se attraversi la grotta a nord arriverai ad una scala di pietra che ti porterà alla vetta". Seguii il sagace consiglio e arrivai in prossimità d’un tempio. All'interno vidi il vecchio che mi aiutò a salire, ora seduto a terra in profonda meditazione. Portai la mia triste figura al suo cospetto e chiesi: "Se siete voi il saggio del monte Laermo, vi prego, ditemi perché in questo mondo tutto va per il peggio", ed egli a me: "Questo mondo vegeta perché i sovrani, corrotti dal potere, si credono autarchici e sapienti, di modo che finiscono col ripetere gli errori dei loro padri. Scendi dal monte e se troverai qualcuno che necessita di aiuto, insegnagli che è importante chiederlo, e così tutto andrà per il meglio. Il modo più semplice per scalare una montagna è domandare il percorso migliore a chi sta scendendo".
Affinché il mondo migliori è necessario evolversi, e l'unico modo per farlo è guardare al passato con umiltà per evitare gli errori già commessi. Quest’eminente nuovo principio ha saputo rasserenarmi e credo che possa essere utile anche a Voi, amico Pangloss, analizzare questa visione del mondo poiché, anche se è vero che in esso tutto può andare bene, non si può neanche pretendere che l’universo migliori continuando a viaggiare per strade già battute.
Certo che saprete dare il giusto valore alle mie parole, prendo congedo: vale.
Vostro amico,
Un Candido